Prendiamo spunto dall’emanazione della Circolare n. 29 del 11/12/2012 con la quale, il Ministero del Lavoro, a fronte delle modifiche apportate all’art. 61 e ss. del D.lgs n. 276/2003 dalla L. 92/2012 (Riforma del Mercato del Lavoro), in materia di collaborazioni coordinate e continuative a progetto, fornisce alcuni chiarimenti interpretativi e nuove istruzioni al proprio personale ispettivo al fine di uniformarne i comportamenti sull’intero territorio nazionale, per approfondire ed integrare quanto già detto sull’argomento con Lettera Informativa n. 16/2012 .

E’ utile ricordare che la L. 92/2012 ha profondamente ridisegnato la disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative nella modalità “a progetto” introducendo alcune restrizioni finalizzate  a contrastare un utilizzo non corretto di tale istituto, in particolare con riferimento ai requisiti del progetto, alla sua materiale esecuzione e conclusione (diritto di recesso) ed ai criteri di determinazione del compenso da corrispondere al collaboratore.

Requisiti del progetto

Ai sensi del nuovo art. 61, c. 1, D.lgs n. 276/2003 il progetto resta l’unico ed indispensabile requisito cui ricondurre i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa sottoscritti successivamente al 18/7/2012, data di  entrata in vigore della Legge n. 92/2012.

Tale norma ora dispone che «i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa devono essere riconducibili ad  uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore» e non più,  come nella precedente formulazione, anche a «programmi di lavoro o fasi di  esso» in quanto fattispecie ritenute difficilmente individuabili.

Collegamento ad un determinato risultato finale

Il progetto deve essere funzionalmente collegato ad un determinato risultato finale tant’è che, anche in relazione alla forma del contratto, è esplicitamente richiesta la descrizione del progetto con individuazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato finale che si intende conseguire.

Il contenuto del progetto deve necessariamente indicare l’attività prestata dal collaboratore in relazione alla quale si attende il raggiungimento di un determinato risultato finale obiettivamente verificabile che costituisce parte integrante del progetto e allo stesso tempo elemento necessario ai fini della sua validità.

La norma subordina quindi la stipula di contratti a progetto all’individuazione di uno specifico risultato compiuto che il collaboratore si impegna a realizzare in un determinato arco temporale restringendo sensibilmente gli spazi di utilizzo di tale contratto rispetto al passato.

Il risultato, inoltre, deve essere idoneo a realizzare uno specifico e circoscritto interesse del committente, attraverso un percorsoconcretamente individuabile contrattualmente prestabilito ed il raggiungimento dello stesso rappresenta il punto di approdo del contratto di collaborazione che pertanto esaurisce i suoi effetti e quindi la sua durata, fatti salvi ovviamente i casi patologici di interruzione del rapporto.

Risulta pertanto da escludere la possibilità che un progetto sia volto a realizzare esigenze costanti e durature del committente, con caratteristiche sempre identiche nel tempo.

Non coincidenza con l’oggetto sociale del  committente

Il nuovo testo dell’art. 61, c. 1, D.lgs n. 276/2003, riprendendo i prevalenti orientamenti giurisprudenziali circa la necessaria specificità del progetto, stabilisce che il progetto non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente.

In pratica, il progetto, pur avendo ad oggetto attività rientranti nel normale ciclo produttivo dell’impresa e quindi, non essendo necessariamente caratterizzato dalla straordinarietà o dall’occasionalità, deve pur sempre distinguersi da esso, costituendo un obiettivo o una tipologia di prestazione che si affianca all’attività principale senza confondersi con essa, pur concorrendo al raggiungimento degli obiettivi aziendali.

In tal senso il progetto, pur potendo rientrare nel ciclo produttivo dell’impresa, deve essere caratterizzato da un’autonomia di contenuti ed obiettivi chiaramente identificabili anche qualora gli stessi si traducano in  attività rientranti nell’oggetto sociale del committente.

Svolgimento di compiti non meramente esecutivi o ripetitivi

Sotto il profilo esecutivo, al fine individuare un ulteriore elemento in funzione del quale definire la genuinità del contratto a progetto, la norma dispone che il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi che potranno essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.

E’ pertanto necessario che dal contenuto del contratto, ovvero dalle modalità di svolgimento della prestazione, non emergano i caratteri della elementarità e ripetitività.

Secondo il Ministero del lavoro, si è in presenza di compiti meramente esecutivi ogni qual volta il collaboratore non metta in campo una propria professionalità attraverso proprie scelte, libere e discrezionali, anche sotto il profilo operativo, volte all’attuazione del progetto ma si limiti ad eseguire quanto stabilito dal committente senza alcuna possibilità di autodeterminazione nelle  modalità esecutive dell’attività.

Per quanto attiene, invece, ai compiti meramente ripetitivi, si fa riferimento ad attività elementari, tali da non richiedere, per loro stessa natura nonché per il contenuto delle mansioni nelle quali si articolano, specifiche indicazioni di carattere operativo fornite di volta in volta dal committente.

Importante sarà il ruolo che la contrattazione collettiva potrà svolgere nell’individuazione di quelle che potranno essere considerate attività di natura meramente esecutiva e ripetitiva tenendo però presente che la mancanza di tale previsione non è condizione essenziale per la piena operatività della norma, che pertanto sarà direttamente applicabile.

Quasi a voler anticipare la stessa contrattazione collettiva, il Ministero del Lavoro delinea un elenco, meramente esemplificativo e non esaustivo, sulla base di orientamenti giurisprudenziali già esistenti, delle attività difficilmente inquadrabili nell’ambito di un genuino rapporto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto, ancorché astrattamente riconducibili ad altri rapporti di natura autonoma.

Pertanto, con riferimento alle figure di seguito elencate, caratterizzate da attività difficilmente riconducibili ad un progetto specifico finalizzato ad un autonomo risultato obiettivamente verificabile, il personale ispettivo del Ministero del Lavoro procederà a convertire gli eventuali rapporti di collaborazione a progetto posti in essere in contratti di lavoro subordinato, adottando i conseguenti provvedimenti sul piano lavoristico e previdenziale:

  • addetti  alla distribuzione di bollette o alla consegna di giornali, riviste ed elenchi telefonici;
  • addetti alle agenzie ippiche;
  • addetti alle pulizie;
  • autisti e autotrasportatori;
  • baristi e camerieri;
  • commessi e addetti alle vendite;
  • custodi e portieri;
  • estetiste e parrucchieri;
  • facchini;
  • istruttori di autoscuola;
  • letturisti di contatori;
  • magazzinieri;
  • manutentori;
  • muratori e qualifiche operaie dell’edilizia;
  • piloti e assistenti di volo;
  • prestatori di manodopera nel settore agricolo;
  • addetti alle attività di segreteria e terminalisti;
  • addetti alla somministrazione di cibi o bevande;
  • prestazioni  rese nell’ambito di call center per servizi cosiddetti in bound.

Il corrispettivo nel contratto a progetto

L’art. 63, c. 1 del D.lgs n. 276/2003, dopo aver affermato che il compenso, come in passato, deve essere proporzionato alla quantità e qualità dell’attività svolta, dispone che lo stesso non può essere inferiore ai minimi salariali applicati nel settore medesimo, alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati, dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

In virtù della nuova disposizione, pertanto, il compenso minimo del collaboratore a progetto va individuato, dalla contrattazione collettiva, sulla falsariga di quanto avviene per i rapporti di lavoro subordinato, in applicazione dei principi di cui all’art. 36 Costituzione.

In mancanza di una contrattazione collettiva specifica, il committente dovrà garantire che il compenso non sia inferiore, a parità di estensione temporale dell’attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto.

E’ opportuno evidenziare che il riferimento normativo è alle retribuzioni minime, ossia ai minimi tabellari determinati dai contratti collettivi di categoria e non a tutto il complesso delle voci retributive eventualmente previste  da tali contratti.

Prestazioni svolte con modalità analoghe a quelle dei lavoratori subordinati: presunzione relativa di subordinazione

Ai sensi dell’art. 69, c. 2 del D.lgs n. 276/2003 il collaboratore a progetto che esegua le prestazioni in maniera non autonoma, bensì con modalità analoghe a quelle dei lavoratori subordinati alle dipendenze del committente, ferma restando la sussistenza delle ipotesi di assenza del progetto, opera una presunzione relativa di subordinazione, suscettibile di prova contraria da parte del committente, il quale potrà quindi dimostrare in giudizio la genuinità della collaborazione.

In tal caso il personale ispettivo deve accertare che il collaboratore svolga in maniera prevalente e con carattere di continuità le proprie attività con modalità analoghe a quella svolta dai lavoratori dipendenti dell’impresa committente.

In sede di verifica occorre inoltre tenere presente che la norma non preclude che il collaboratore svolga le medesime attività dei lavoratori dipendenti, purché le svolga con modalità organizzative radicalmente diverse, e al contrario, anche qualora il collaboratore svolga attività diverse ma con le medesime modalità caratterizzanti la prestazione resa da lavoratori dipendenti della stessa impresa (ad esempio rispetto di un orario di lavoro, assoggettamento a potere direttivo ecc.), la presunzione di subordinazione trova ovviamente applicazione.

Restano escluse da detto meccanismo presuntivo le prestazioni di elevata professionalità alla cui individuazione può contribuire anche la contrattazione collettiva, in modo del tutto facoltativo e non vincolante.

Profili sanzionatori in mancanza del progetto: la presunzione assoluta di subordinazione

L’art. 69, c. 1, dispone che la mancata individuazione del progetto determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in quanto l’individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa.

Si tratta di una norma di interpretazione autentica che nella fattispecie in oggetto introduce l’applicazione automatica della presunzione assoluta di subordinazione, senza dare quindi alcuna possibilità di prova contraria in favore del committente.

In pratica si ritiene che il progetto sia assente qualora lo stesso sia inesistente ovvero sia carente dei requisiti indicati dalla norma: – collegamento ad un determinato risultato finale – autonoma identificabilità nell’ambito dell’oggetto sociale del committente – non coincidenza con l’oggetto sociale del committente – svolgimento di compiti non meramente esecutivi o ripetitivi.

Ne consegue che il personale ispettivo del Ministero del Lavoro potrà procedere ad una riqualificazione del rapporto di collaborazione in un rapporto di natura subordinata a tempo indeterminato quando non ravvisi nel contratto la presenza di uno specifico progetto ovvero verifichi che l’individuazione del progetto si traduce in un insieme di clausole che non trovano corrispondenza ed attuazione nella realtà.

Decorrenza dell’applicazione delle modifiche introdotte dalla Riforma del mercato del lavoro

Tutte le novità introdotte dalla L. 92/2012 trovano applicazione esclusivamente per i contratti di collaborazione stipulati successivamente al 18/7/2012, data di entrata in vigore della legge.

 

Fonte: www.studiogalaverni.it