13mila sms dal cellulare aziendale non giustificano il licenziamento
No all’applicazione del nuovo articolo 18, modificato dalla legge Fornero, ai processi in corso. A chiarirlo è la Corte di cassazione, con la sentenza n°10550 del 7/5/2013, giudicando sul caso di un lavoratore della Telecom licenziato per aver inviato 13mila sms, in meno di un anno, dal telefono aziendale, provocando un danno di circa 3 milioni di lire.
La Corte d’Appello di Napoli, ribaltando le decisione di primo grado ne aveva ordinato il reintegro, e ora la Cassazione ha confermato quella decisione, bocciando, fra l’altro, anche il motivo di ricorso con cui l’azienda chiedeva l’applicazione della Fornero e dunque il risarcimento del danno in luogo del reintegro.
Secondo la società ricorrente, infatti, la nuova disciplina sanzionatoria dei licenziamenti introdotta dalla legge 92/2012 (c.d. Legge Fornero), in mancanza di disposizioni transitorie, sarebbe immediatamente applicabile.
Una posizione però non condivisa dalla Suprema corte secondo cui legge 92/2012 ha introdotto “una nuova, complessa ed articolata disciplina dei licenziamenti che ancora le sanzioni irrogabili per effetto della accertata illegittimità del recesso a valutazioni di fatto incompatibili non solo con il giudizio di legittimità ma anche con una eventuale rimessione al giudice di merito che dovrà applicare uno dei possibili sistemi sanzionatori conseguenti alla qualificazione del fatto (giuridico) che ha determinato il provvedimento espulsivo”.
Di mezzo, infatti, c’è la “ragionevole durata del processo” che verrebbe sacrificata da una diversa interpretazione. Ma a farne le spese, nel caso di una applicazione immediata, sarebbe anche l’articolo 111 della Costituzione sul “giusto processo”; l’articolo 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (Diritto a un equo processo), nonché l’articolo 47 della Carta Europea dei diritti fondamentali (Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale).
Secondo i giudici di Piazza Cavour infatti la legge Fornero introduce un “un’evidente ‘stravolgimento’ del sistema di allegazioni e prove nel processo”, e dunque non si limita “ad una modifica della sanzione irrogabile (come nel caso, pur opinabile, delle modifiche introdotte dall’art. 32 della legge n. 182/2010) ma si collega ad una molteplicità di ipotesi diverse di condotte giuridicamente rilevanti cui si connettono tutele tra loro profondamente differenti”.
Insomma, quello che esce dalla riforma è “un sistema unico che non incide sul solo apparato sanzionatorio ma impone un approccio diverso alla qualificazione giuridica dei fatti incompatibile con una sua immediata applicazione ai processi in corso”.
“Né, al contrario – conclude la sentenza -, vale sostenere che il legislatore del 2012, laddove abbia inteso differire l’entrata in vigore delle disposizioni della legge lo ha fatto espressamente (cfr. art. 1 commi 38 e 39 della legge n. 92/2012 in tema di abbreviazione termini di decadenza dall’impugnazione giudiziaria del licenziamento) stante la necessità di una disposizione di tal genere ove si ritenga necessario differire l’entrata in vigore di disposizioni di evidente natura processuale quali quelle richiamate”.
La Cassazione poi ricorda che il nuovo “Sistema” prevede distinti regimi di tutela a seconda che si accerti la natura discriminatoria del licenziamento, l’inesistenza della condotta addebitata, ovvero la sua riconducibilità tra quelle punibili solo con una sanzione conservativa (sulla base delle disposizioni dei contratti collettivi o dei codici disciplinari applicabili).
“In tali casi – proseguono i giudici – persiste il diritto del lavoratore ad essere reintegrato nel posto di lavoro e ad ottenere un “pieno” risarcimento del danno (dalla risoluzione del rapporto alla reintegrazione), nei limiti dell’aliunde perceptum dell’aliunde percipiendum, mai al di sotto di cinque né al di sopra di dodici mensilità”.
Ma, “in tutti gli altri casi di accertata illegittimità del licenziamento per mancanza di giusta causa e di giustificato motivo soggettivo, il nuovo comma 5 dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori prevede solo una tutela risarcitoria (tra 12 e 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita)”. Ed è a questa ipotesi che si rifaceva la Telecom nel suo ricorso, e che la Cassazione ha dichiarato non applicabile in quanto il processo era già in corso alla data di pubblicazione della legge.
Mentre ancora non è stata affrontata la questione della applicabilità della nuova norma ai licenziamenti antecedenti l’entrata in vigore della riforma per i quali però a quella data ancora non era ancora stato introdotto il procedimento giurisdizionale.