L’Aspi sostituisce, migliorandolo, il trattamento di disoccupazione ma i maggiori oneri ricadono sulle aziende.
Non si comprende perché a fronte di una pur giusta tutela dei lavoratori, si danneggino i datori di lavoro che procedono ai licenziamenti, dovuti nella maggior parte dei casi all’impossibilità di far fronte ad un costo del lavoro elevatissimo cui non corrispondono margini di utile adeguati.
Parliamo del cosiddetto contributo di interruzione posto a carico del datore di lavoro che, per motivi diversi dalle dimissioni, decida di interrompere il rapporto in essere con il lavoratore dipendente assunto con contratto a tempo indeterminato. Il contributo di interruzione è dovuto da tutti i datori di lavoro indipendentemente dal numero di dipendenti occupati (quindi anche inferiore a 15), aggiungendo di conseguenza un nuovo onere contributivo anche in capo alle piccole imprese.
Le interruzioni diverse dalle dimissioni comporteranno quindi per il datore di lavoro il pagamento di una somma, stabilita in origine dalla legge 92/2012 nel 50% del trattamento mensile iniziale ASpI per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni.
Come se non fosse sufficiente ancor prima di entrare in vigore la misura è stata ritoccata dalla legge di Stabilità per il 2013 (L.228/2012) la quale, portandola al 41% la lega non più all’importo spettante al lavoratore, ma al suo massimale
mensile.
Tale modifica ha di fatto aggravato il costo aziendale, infatti, pur utilizzando un’aliquota più bassa, la stessa va calcolata su un imponibile spesso ben più alto rispetto al precedente.
Come se ciò non bastasse, il contributo deve essere versato anche in riferimento a quei lavoratori che, pur avendone diritto in teoria, non possiedono, all’atto del licenziamento, i requisiti contributivi previsti per accedere agli ammortizzatori sociali, finendo per essere una sorta di contributo di solidarietà.
Nel calcolo del periodo di anzianità andranno conteggiati anche i periodi di lavoro effettuati con contratto diverso da quello a tempo determinato nel caso in cui il rapporto sia proseguito senza interruzioni.
Il nuovo contributo inoltre è dovuto anche per le interruzioni dell’apprendistato diverse dalle dimissioni o dal recesso del lavoratore ed è anche previsto qualora, al termine del periodo di apprendistato (dando regolare preavviso), il datore di lavoro receda dal contratto come previsto dall’art. 2, comma 1, lettera m), del D.lgs. n. 167/2011. Ciò pur trovando la sua ratio nel fatto che l’Aspi verrà erogata, al contrario dell’ex indennità di disoccupazione, anche a questi ultimi,non pare in linea con il principio di libera risoluzione del contratto in quella fase.
Fonte: http://www.fondazionestudi.it/