ROMA – La “supertassa” sulle “superpensioni” è illegittima: lo ha stabilito la sentenza 116/2013 della Corte Costituzionale, presieduta da Franco Gallo, che ha cancellato il “contributo di solidarietà“, ovvero il prelievo extra su tutte le cosiddette “pensioni d’oro“, quelle pensioni pubbliche e private superiori rispettivamente ai 90 mila, ai 150 mila e ai 200 mila euro lordi l’anno, che era stato introdotto nell’estate 2011 dal governo Berlusconi e poi confermato dal governo Monti.
Una sentenza che fa il paio con quella che aveva dichiarato incostituzionale il contributo di solidarietà sugli stipendi dei dipendenti pubblici sopra i 90 mila euro.
Il verdetto dei giudici avrà conseguenze importanti per i pensionati interessati e per le casse dello Stato, che ora dovrà mettere a bilancio le spese per il rimborso della supertassa e i mancati introiti.
Tornando al merito giuridico, i magistrati di palazzo della Consulta hanno ritenuto irragionevole e discriminatorio, e quindi costituzionalmente illegittimo, il prelievo (rispettivamente del 5%, 10% e 15%) sulle pensioni di centinaia di magistrati, avvocati dello Stato, ambasciatori, docenti universitari, alti funzionari, dirigenti pubblici, ammiragli, generali, notai, giornalisti, manager pubblici e privati.
Avranno tutti diritto al rimborso degli importi trattenuti dalle loro pensioni per 23 mesi e non dovranno più pagare nulla fino al 31 dicembre 2014. La restituzione sarà automatica da parte dell’Inps e degli altri enti previdenziali.
La Corte ha accolto il ricorso presentato dall’ex presidente della Corte dei Conti Giuseppe Bozzi (titolare di pensione sopra i 90 mila euro) e del Gruppo Romano Giornalisti Pensionati, stabilendo l’incostituzionalità dell’articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come modificato dall’articolo 24, comma 31-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 perché tali norme violavano apertamente gli articoli 3 e 53 della Costituzione.
Secondo la sentenza il prelievo extra sulle pensioni sopra i 90 mila euro è “irragionevole e discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini. L’intervento riguarda, infatti, i soli pensionati, senza garantire il rispetto dei principi fondamentali di uguaglianza a parità di reddito”, quindi in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
I giudici della Consulta hanno stabilito anche che il “contributo di solidarietà” non rispetta l’articolo 53 della Costituzione:
“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
Fa notare nella sentenza la Corte costituzionale che è stato adottato un criterio per i pensionati e un criterio per tutti gli altri contribuenti, penalizzando i primi:
“i redditi derivanti dai trattamenti pensionistici non hanno, per questa loro origine, una natura diversa e minoris generis rispetto agli altri redditi presi a riferimento […] A fronte di un analogo fondamento impositivo, dettato dalla necessità di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, il legislatore ha scelto di trattare diversamente i redditi dei titolari di trattamenti pensionistici: il contributo di solidarietà si applica su soglie inferiori e con aliquote superiori, mentre per tutti gli altri cittadini la misura è ai redditi oltre 300.000 euro lordi annui, con un’aliquota del 3 per cento, salva in questo caso la deducibilità dal reddito”.
Fonte: http://www.blitzquotidiano.it